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Indagare nuovi orizzonti

Intelligenza Artificiale e creatività: come l’AI sta trasformando il teatro

17 Giu, 2025

Scopri come l’Intelligenza Artificiale sta rivoluzionando il mondo del teatro e dello spettacolo dal vivo: dai copioni generati dai chatbot alle scenografie create con reti neurali, un’analisi di tendenze, casi reali e sfide dell’AI nella creatività teatrale.

L’intelligenza artificiale (IA) sta entrando nei processi creativi del teatro e dello spettacolo dal vivo, aprendo scenari innovativi ma anche interrogativi profondi. Dall’algorithmic theatre ai copioni scritti (o improvvisati) da modelli generativi, fino a scenografie progettate con reti neurali, questo articolo esplora come l’IA stia aumentando la creatività umana sul palcoscenico. Attraverso esempi reali e casi di studio – come spettacoli in cui un’IA suggerisce battute in tempo reale agli attori – analizziamo i vantaggi di queste sperimentazioni, le sfide etiche e tecniche, e il delicato equilibrio tra la potenza degli algoritmi e l’insostituibile umanità della performance dal vivo.

Introduzione: AI e creatività, un nuovo atto della sperimentazione teatrale

Il teatro ha da sempre abbracciato le tecnologie emergenti per arricchire la narrazione scenica. Basti pensare all’introduzione dell’illuminazione artificiale nell’Ottocento o alle proiezioni multimediali nel Novecento, che hanno rivoluzionato regia e scenografie. Oggi, la tecnologia che domina è l’intelligenza artificiale (IA), al centro di esperimenti in tutto il mondo. Mentre settori come l’informatica e la finanza hanno già integrato con entusiasmo l’IA, il mondo delle arti – e il teatro in particolare – si interroga su come implementarla in modo significativo (AI And Theatre: Playwriting, Stage Design, And Ticketing, amt-lab.org)

Negli ultimi anni sono aumentate le sperimentazioni in cui algoritmi affiancano drammaturghi, registi e performer. Questo interesse è alimentato dai progressi dei modelli di linguaggio come GPT (utili per generare testi e dialoghi) alla IA generativa per immagini  e contenuti multimediali. L’IA si presenta sia come strumento sia come possibile co-autore: può aiutare a scrivere copioni, ideare scenografie o persino esibirsi sul palco attraverso sistemi robotici o interattivi.

Allo stesso tempo, l’ingresso dell’IA nell’arte solleva domande cruciali: una macchina può essere davvero creativa o è solo un’imitazione statistica? Può un algoritmo essere considerato autore di un’opera teatrale, o rimane un semplice strumento nelle mani umane? E come cambia il rapporto tra autori, attori e pubblico quando una parte della creazione è affidata a una “mente” artificiale? Queste domande, un tempo fantascientifiche, sono oggi oggetto di dibattito concreto tra artisti e addetti ai lavori (How Is AI Transforming Theater?, triennale.org)

In questo articolo esploriamo le principali tendenze dell’IA applicata alla creatività teatrale. Vedremo esempi pratici di collaborazione uomo-IA sul palco, analizzeremo un caso d’uso reale e discuteremo i vantaggi, i limiti e le implicazioni di questa nuova frontiera. L’obiettivo è fare il punto – in modo divulgativo ma approfondito – su come l’IA sta trasformando (e potrebbe trasformare) il modo in cui immaginiamo e realizziamo uno spettacolo dal vivo.

L’IA come co-creatrice: dalle improvvisazioni ai copioni generati

Una delle direzioni più affascinanti è l’uso dell’IA come partner creativo nel processo di scrittura e improvvisazione teatrale. Invece di sostituire l’autore umano, questi sistemi vengono impiegati per stimolare nuove idee, produrre testi in tempo reale o generare spunti narrativi che gli artisti possono sviluppare.

Copioni generati da modelli linguistici

utilizzando i moderni Large Language Model (LLM) addestrati su miliardi di parole, è possibile generare dialoghi e scene a partire da semplici prompt. Ad esempio, un team di ricerca ceco ha lanciato THEaiTRE, un progetto mirato a produrre e mettere in scena il primo copione teatrale interamente scritto da un’IA. In questo approccio, il modello (basato su GPT-2) viene guidato in maniera gerarchica: prima genera un breve soggetto della pièce, poi bozze di sinossi per atti e scene, infine dialoghi dettagliati. I ricercatori di Praga sono riusciti nel loro intento e nel 2021 a Švanda Theatre è andato in scena “AI: When a Robot Writes a Play”, prima opera teatrale scritta da una macchina. Questo esperimento ha mostrato le potenzialità ma anche i limiti: l’IA può produrre testi coerenti, ma fatica a comprendere a fondo concetti come i motivi e gli obiettivi dei personaggi, un aspetto cruciale nella drammaturgia. In altre parole, far sì che un algoritmo intuisca l’intenzionalità e l’emotività dei personaggi rimane una sfida aperta.

Teatro improvvisato con chatbot

Una declinazione estremamente interessante è l’uso di IA durante spettacoli di improvvisazione teatrale. La compagnia internazionale Improbotics è pioniera in questo campo: porta in scena spettacoli in cui attori in carne e ossa recitano fianco a fianco con un chatbot alimentato da IA. Durante lo show, l’algoritmo – addestrato su oltre 100.000 film – elabora input e suggestioni e restituisce battute e prompt che gli attori integrano all’istante nella performance. Il risultato è un’esperienza teatrale unica: imprevedibile, collaborativa e spesso esilarante, in cui l’IA funge da “spalla” virtuale che stimola la creatività umana. In Improbotics, il chatbot interagisce sia con gli attori che con il pubblico: gli spettatori possono inviare messaggi di testo a un sistema che li incorpora nella seconda parte dello spettacolo, aumentando il coinvolgimento e l’effetto sorpresa. Questa collaborazione in tempo reale tra attori umani e IA dimostra come la macchina possa essere co-autrice estemporanea, fornendo spunti che gli artisti umani reinterpretano con la loro sensibilità.

Algorithmic Theatre

C’è chi ha esplorato anche forme di teatro senza attori umani in scena, dove l’IA è il protagonista attivo. La regista e teorica Annie Dorsen, ad esempio, è nota per i suoi esperimenti di algorithmic theatre: spettacoli concepiti in modo che algoritmi generativi producano il copione in tempo reale, offrendo ogni sera una variazione diversaa. In una sua opera, Hello Hi There, due computer dialogavano tra loro, generando testi basati su algoritmi e mettendo così in scena un’esperienza “post-umana”. L’idea di Dorsen è di utilizzare la tecnologia come specchio per interrogare la società digitale: in questi esperimenti l’IA è sia strumento sia soggetto artistico, e lo spettacolo diventa una riflessione metateatrale sul rapporto uomo-macchina. Se Improbotics vede l’IA come spalla dell’attore, Dorsen la tratta quasi come un attore virtuale, al centro della narrazione, in grado di generare testi e performance seguendo parametri prestabiliti ma con un certo grado di autonomia creativa.

AI in scena: il caso di studio di un esperimento teatrale innovativo

Per capire concretamente come l’IA possa integrarsi in uno spettacolo dal vivo, approfondiamo un caso di studio reale: l’esperimento condotto da Michael Rau, regista e docente alla Stanford University (Hai, AI Brings New Potential to the Art of Theater) che sta esplorando l’integrazione dell’IA in contesti performativi tradizionali. Rau descrive tre approcci complementari con cui ha portato l’IA sul palco, in modo da arricchire la narrazione mantenendo però gli attori umani al centro della scena:

Script generati in tempo reale

 Durante uno spettacolo sperimentale diretto da Rau, il pubblico viene invitato a suggerire degli spunti (ad esempio un tema o una frase). Tali input vengono forniti a un modello di linguaggio (una sorta di ChatGPT addestrato sul teatro) che genera brevi scene o dialoghi al volo sulla base delle suggestioni degli spettatori. Le battute create dall’IA vengono poi convertite in voce tramite sistemi text-to-speech e trasmesse via auricolare agli attori sul palco, ciascuno dei quali riceve le linee del proprio personaggio. In pratica, gli attori recitano dialoghi scritti istantaneamente dall’IA, senza copione cartaceo e senza conoscere in anticipo le battute, reagendo in tempo reale a ciò che sentono nell’auricolare. Questo permette di creare performance estemporanee e imprevedibili, una sorta di improvvisazione guidata dall’algoritmo, in cui ogni replica è diversa dalla precedente. Gli attori restano liberi di mettere in gioco interpretazione ed emotività, ma seguono tracce drammaturgiche generate sul momento dalla macchina. Rau riferisce che questo format produce esiti a volte esilaranti, a volte surreali, aggiungendo uno strato di spontaneità oltre i limiti del copione umano, ma senza togliere centralità all’attore in carne ed ossa.

Visioni AI proiettate in scena

 Un altro approccio usato nel progetto di Rau è l’impiego di IA generativa per immagini durante la rappresentazione dal vivo. Una telecamera riprende in tempo reale gli attori sul palco; il flusso video viene passato a un algoritmo di image generation (simile a sistemi come DALL-E o Stable Diffusion) istruito con un prompt narrativo. L’IA elabora così delle visioni oniriche o alternative della scena recitata: ad esempio, potrebbe trasformare una normale scena di duello in una versione stilizzata “a cartone animato” o ambientarla in un universo fantastico parallelo. Queste immagini alterate vengono proiettate sul fondale o su schermi in scena, in sincrono con l’azione reale, creando per il pubblico una sorta di “doppio livello” visivo. È come se sul palco convivessero due piani narrativi: quello fisico, con gli attori in carne ed ossa, e quello virtuale, generato dall’IA, che mostra magari i pensieri dei personaggi, sogni o realtà alternative. Rau immagina che questo espediente possa servire a rappresentare stati d’animo interiori, flashback o elementi fantastici difficili da rendere solo con scenografia tradizionale. Il risultato è una sovrapposizione creativa: l’IA estende il linguaggio scenico oltre i confini consueti, pur lasciando che sia l’attore umano a interagire ed emozionare dal vivo.

Analisi dei movimenti tramite IA

 Un aspetto più tecnico ma di grande interesse del lavoro di Rau è l’uso dell’IA non tanto per la messa in scena frontale, quanto per l’analisi delle performance. In collaborazione con ricercatori di informatica, ha sviluppato uno strumento che utilizza algoritmi di pose analysis per tracciare in 3D le posizioni del corpo degli attori, frame per frame, a partire da registrazioni video. Questo sistema, concepito inizialmente come supporto agli studiosi, consente di visualizzare con estrema precisione la coreografia dei movimenti sul palco. Le possibili applicazioni spaziano dallo studio accademico del gesto teatrale – ad esempio per confrontare lo stile recitativo di diversi attori o analizzare la gestualità di un politico durante un discorso – fino a funzioni pratiche come la creazione di “mappe” di regia per ottimizzare la messa in scena. Pur essendo una componente dietro le quinte, questa tecnologia evidenzia un altro modo in cui l’IA può arricchire il teatro: fornendo nuovi strumenti di comprensione e perfezionamento del lavoro attoriale e registico, senza essere visibile direttamente al pubblico.

Rau è consapevole delle controversie che accompagnano l’uso dell’IA nell’arte. Nel suo approccio, ribadisce costantemente l’importanza di mantenere “l’umano al centro” e di usare l’IA solo per aggiungere “un aspetto nuovo e interessante” alla performance senza rimpiazzare la creatività dell’attore.

È significativo che il suo prossimo progetto – provvisoriamente intitolato Hamlet.AI – sia proprio incentrato su un dibattito metateatrale: la trama vede un drammaturgo e un regista scontrarsi sull’uso dell’intelligenza artificiale in scena, trasformando lo spettacolo stesso in una riflessione (e perfino uno scontro) sul futuro dell’arte. In Hamlet.AI, Rau intende far confluire tutte le tecniche sperimentate (dalle immagini generative ai testi creati dall’IA) per dare vita a un’opera che mescoli tecnologia avanzata e sensibilità teatrale, incarnando anche le sue sentimenti contrastanti verso l’IA generativa nelle arti. Questo caso di studio ci mostra dunque un approccio equilibrato: l’IA viene integrata in vari modi – drammaturgici, visivi, analitici – per espandere i confini della messinscena, ma sempre con la chiara intenzione di non snaturare l’esperienza teatrale umana.

Alcuni artisti stanno sperimentando l’uso di sistemi di AI generativa per arricchire la messinscena. Ad esempio, il coreografo Wayne McGregor ha integrato ambienti digitali immersivi creati con l’ausilio dell’IA nel suo spettacolo “UniVerse: A Dark Crystal Odyssey”, presentato al FOG Festival 2024. In scena, i danzatori interagiscono con proiezioni surreali e distopiche, co-create dall’algoritmo visivo, offrendo al pubblico un’esperienza multimediale e sensoriale senza precedenti (How Is AI Transforming Theater?, triennale.org).

Ai in scena: il caso di Dialoghi al Buio

Il progetto nasce con l’obiettivo di esplorare il potenziale dell’intelligenza artificiale nella scrittura teatrale, utilizzando ChatGPT come strumento principale per la generazione di un monologo originale. L’intero testo dello spettacolo è stato sviluppato attraverso un’interazione continua con l’AI, che ha fornito contenuti, dialoghi e strutture narrative in risposta alle richieste dell’autore.

Il ruolo dell’intervento umano non è stato quello di scrivere direttamente il monologo, bensì di guidare e affinare il processo creativo. Attraverso un lavoro di revisione e interazione, l’autore ha raffinato il testo chiedendo dettagli, approfondimenti tematici, suggerendo variazioni nel tono, costruendo i momenti di raccordo ed enfatizzando gli aspetti chiave per dare ritmo e coerenza alla narrazione. Tuttavia, la generazione del testo è rimasta interamente affidata all’AI, sperimentando così un nuovo modello di scrittura in cui la creatività umana dialoga con la tecnologia per dar vita ad un’opera originale.

Innovazione e Impatto: dalla Scrittura alla Messa in Scena, un Processo di Co-Creazione con l’AI

Questo progetto rappresenta un’esplorazione concreta dell’uso dell’intelligenza artificiale nel teatro, aprendo nuove prospettive sulla co-creazione tra uomo e macchina. L’integrazione dell’AI nella drammaturgia non si limita alla mera assistenza alla scrittura, ma si configura come un vero e proprio partner creativo, in grado di rispondere alle sollecitazioni dell’autore e di generare contenuti testuali che, con il giusto affinamento, possono costituire la base per opere teatrali innovative.

La fase di messa in scena del monologo sarà guidata da un regista teatrale, il cui ruolo sarà quello di verificare l’efficacia del testo generato in relazione alla performance attoriale, alla resa scenica e al coinvolgimento del pubblico. In caso di necessità di adattamenti o modifiche, il regista non interverrà direttamente riscrivendo il testo, ma proseguirà l’interazione con ChatGPT, mantenendo così la coerenza con l’approccio sperimentale del progetto.

Questa metodologia consentirà di preservare l’idea di un testo completamente generato dall’intelligenza artificiale, pur garantendo un percorso di raffinamento che risponda alle esigenze artistiche e performative. L’AI resterà quindi parte attiva nel processo di revisione, rispondendo alle necessità del regista e adattando il testo senza perdere il principio di collaborazione tra umano e macchina. In questo modo, la sperimentazione si estenderà oltre la scrittura, esplorando l’intelligenza artificiale come strumento flessibile anche in fase di regia e adattamento scenico.

Anteprima al festival Collinarea

Lo spettacolo basato su un’idea di Michele Fiaschi è prodotto da Sartoria Caronte e Genìa andrà in scena il 25 luglio 2025 al Collinarea Festival.

Opportunità creative: perché sperimentare l’IA nello spettacolo?

Come abbiamo visto, le applicazioni dell’IA nel teatro possono essere molto varie – dalla scrittura alla recitazione, dalla scenografia alla regia – e aprono nuove opportunità creative. Ma cosa spinge artisti e compagnie a esplorare queste strade? Di seguito, riassumiamo i principali vantaggi potenziali dell’integrazione tra IA e creatività teatrale:

Generatività e varietà infinite

Un algoritmo può generare n variazioni di una scena, di un dialogo o di un’immagine, offrendo agli autori un serbatoio inesauribile di spunti. Questo significa, ad esempio, poter mettere in scena spettacoli sempre diversi ad ogni replica. Nel caso dell’improvvisazione con chatbot o degli esperimenti di Annie Dorsen, l’elemento generativo assicura che ogni sera il pubblico veda qualcosa di unico e non ripetibile. Per i drammaturghi, strumenti come ChatGPT possono aiutare a superare il “blocco della pagina bianca”, fornendo idee embrionali di trame o dialoghi da cui partire. In sostanza, l’IA può fungere da “collaboratore instancabile” a cui attingere per alimentare il processo creativo umano.

Interattività col pubblico

 Certi utilizzi dell’IA, come visto con Improbotics o con i LLM live di Michael Rau, rendono il pubblico parte attiva della creazione. Gli spettatori possono influenzare la direzione della storia con i loro input, vivendo un’esperienza più immersiva. Questa partecipazione diretta – possibile grazie alla velocità con cui l’IA elabora suggerimenti – porta il concetto di teatro interattivo a nuovi livelli. Si crea quasi un dialogo triangolare: pubblico, performer e algoritmo costruiscono insieme la serata, aumentando il coinvolgimento emotivo e la sorpresa.

Espansione del linguaggio scenico

 L’IA permette di rappresentare scenicamente cose prima impensabili. Ad esempio, la generazione di immagini e video in tempo reale consente di visualizzare “sogni” o mondi virtuali paralleli durante una performance. Oppure, algoritmi di machine learning possono creare suoni, musiche o voci sintetiche aprendo strade a nuove estetiche sonore. Nella danza, come vedremo più avanti, un’IA può persino “improvvisare” coreografie, suggerendo movimenti inediti ai ballerini. Tutto ciò arricchisce la tavolozza espressiva di registi e scenografi: l’IA diventa un attrezzo scenico ultramoderno, in grado di generare contenuti visivi o uditivi sul momento per amplificare l’atmosfera dello spettacolo (.

Efficienza e supporto al processo creativo

 Sul versante produttivo, l’IA può accelerare certe fasi laboriose. Un esempio concreto è la progettazione scenografica: strumenti come DALL-E o Midjourney possono creare in pochi secondi bozzetti ispirati alle didascalie di un copione, aiutando scenografi e costumisti a visualizzare idee iniziali. Il designer David Forsee ha raccontato su HowlRound di aver generato con un’IA quattro diverse immagini di un “fatato bosco notturno” descritto in una scena, ottenendo in un attimo spunti visivi utili da cui partire. In modo simile, i registi possono simulare diversi allestimenti di luci o scenici in realtà virtuale prima di passare alla costruzione reale, risparmiando tempo e risorse. L’IA, in sintesi, può fungere da assistente instancabile, capace di macinare varianti su varianti di un’idea finché l’artista umano non trova quella che lo convince.

Analisi e apprendimento

 Come nell’esempio dello strumento di pose analysis di Stanford, l’IA offre anche opportunità di retrospettiva: analizzare a posteriori le performance per cogliere dettagli e pattern che sfuggono all’occhio umano. Un regista potrebbe usare queste analisi per perfezionare il ritmo di una scena; un attore potrebbe rivedere in 3D i propri movimenti per migliorare una gestualità; una scuola di teatro potrebbe usare l’IA per fornire feedback agli allievi su dizione o postura. Questi usi “educativi” e di supporto non fanno notizia come un robot in scena, ma potrebbero rivelarsi tra i più utili nell’elevare la qualità artistica complessiva.

In definitiva, la presenza dell’IA nel processo creativo è vista da molti sperimentatori come una chance per espandere i confini dell’arte teatrale. “È meglio esplorare queste tecnologie – afferma Rau – perché forse emergerà qualcosa di inaspettato ed eccitante. L’alternativa, ignorarle, rischia di calcificare quest’arte in forme sorpassate”. L’auspicio è che l’IA offra nuovi strumenti senza snaturare la magia unica del teatro dal vivo.

Dilemmi e sfide: l’IA è davvero creativa?

Accanto all’entusiasmo, cresce anche la riflessione critica: fino a che punto l’IA può essere creativa in senso proprio, e quali rischi comporta la sua adozione nel teatro? Professionisti e teorici stanno dibattendo su diversi fronti, dai risvolti artistici a quelli etici. Ecco le principali sfide e preoccupazioni emerse.

Originalità vs. imitazione

Molti sostengono che l’IA, per come funziona oggi, non “crei” dal nulla ma rimescola schemi già visti, essendo addestrata su dati preesistenti. Un articolo della Triennale di Milano sottolinea che il processo creativo dei modelli generativi è “standardizzato, basato su un sistema di completamento di frasi” – in pratica l’IA immagina qualcosa partendo da dettagli che conosce. Questo pone dubbi sulla vera originalità di un’opera generata da macchina: se ChatGPT produce un dialogo brillante, è perché ha assimilato milioni di dialoghi umani precedenti. Per ora, concordano molti artisti, l’IA non può sostituire l’unicità di uno spettacolo dal vivo, dove il “fattore umano” – la presenza fisica, l’improvvisazione empatica, l’errore trasformato in occasione creativa – è insurrogabile. La vitalità dei corpi in scena rimane qualcosa che nessuna simulazione può replicare pienamente. Dunque, l’IA va impiegata come amplificatore creativo, non come surrogato dell’artista.

Autorialità e riconoscimento

Se un algoritmo contribuisce significativamente a un testo o a una regia, chi è l’autore dell’opera? Molti progetti recenti hanno sollevato questo interrogativo. Nel già citato workshop Me Myself and AI (tenuto a Roma nel 2025), giovani drammaturghi si sono confrontati proprio su “quanto e come usare l’IA generativa in opere dove al centro dovrebbe esserci la creatività umana”, ponendosi domande cruciali: “Cosa è un autore? Cosa è un’idea originale? Se l’IA generativa propone delle idee, la si può considerare un’autrice?. Il consenso emerso è che l’IA va considerata uno strumento, magari intelligente, ma non un creatore con intenzioni proprie. Si tratta di definire limiti chiari: ad esempio, un testo scritto con l’ausilio di ChatGPT dovrebbe riconoscere il ruolo dell’umano che ha guidato il processo (prompting, selezione, editing) e non attribuire all’IA una creatività indipendente. Anche in termini legali, la questione è aperta: oggi le opere generate da IA pura non godono di copyright tradizionale, proprio perché prive di un autore umano riconosciuto. Nel teatro, questo si traduce nella necessità di trasparenza: gli spettatori dovrebbero sapere se uno spettacolo è frutto di un algoritmo, e gli artisti dovrebbero prendersi la responsabilità delle scelte fatte con l’IA, un po’ come un regista si assume la paternità delle idee suggerite dai suoi collaboratori.

Bias e stereotipi nei contenuti generati

Un caso concreto ha evidenziato i rischi etici dell’affidarsi ingenuamente all’IA in fase creativa. Al Young Vic di Londra, nel 2021, un gruppo di teatranti ha provato a utilizzare un modello generativo (GPT-3) per scrivere e mettere in scena “la prima opera al mondo creata e performata con l’IA”. Il risultato, però, è stato problematico: come ha raccontato la regista Jennifer Tang, l’IA tendeva “in modo inquietante e affidabile a distribuire a un attore mediorientale ruoli stereotipati: il terrorista, lo stupratore… un uomo con uno zaino pieno di esplosivi”. In altre parole, i pregiudizi nei dati di addestramento (film, copioni, media dove purtroppo abbondano stereotipi razzisti) si sono riversati pari pari nell’opera generata, riproponendo cliché dannosi. Questo ha fatto suonare un campanello d’allarme: se nemmeno un team di artisti sensibili è riuscito a prevenire derive del genere, come potremo filtrare i bias dei modelli nel teatro? L’episodio del Young Vic evidenzia la necessità di un controllo umano vigile: l’IA non ha coscienza né senso critico, può perpetuare stereotipi inconsciamente, dunque gli autori devono rivedere e correggere il materiale generato per evitare contenuti offensivi o discriminatori.

Questioni di copyright e plagio

 Un’altra sfida riguarda i confini tra ispirazione e plagio. I modelli generativi apprendono dal passato e talvolta rigurgitano interi pezzi di opere esistenti. Un esperimento riportato da BroadwayWorld ha chiesto a ChatGPT di creare il concept per un musical originale, ottenendo in risposta trama e numeri musicali per “Codebreakers”. Peccato che l’IA avesse praticamente copiato la premessa di un film del 2011 dal titolo identico. Questo solleva due problemi: da un lato, l’inconsapevolezza del modello rispetto al concetto di plagio (non “sa” di star violando un copyright, mescola solo ciò che ha visto); dall’altro, i potenziali grattacapi legali per artisti e produttori se parti di copioni o regie generate dall’IA risultassero troppo simili a opere preesistenti. Finché le leggi sul diritto d’autore non si adatteranno all’era AI, chi usa questi strumenti deve fare attenzione e trattare il materiale generato come bozze da rielaborare, assicurandosi dell’originalità finale. È uno dei motivi per cui il settore teatrale, notoriamente attento alla tutela dei testi, guarda con un po’ di diffidenza all’IA: nessuno vuole ritrovarsi involontariamente invischiato in cause legali per un copia-incolla involontario operato dall’algoritmo.

Rischio di omologazione creativa

Paradossalmente, uno dei timori espressi da alcuni artisti è che l’uso diffuso di IA possa portare a una creatività appiattita. Se tutti iniziano ad affidarsi agli stessi modelli (ad esempio ChatGPT per i dialoghi o Midjourney per i bozzetti visivi), c’è il pericolo di un effetto omogeneizzante: le opere potrebbero iniziare ad assomigliarsi, per via delle medesime “idee mediane” suggerite dagli algoritmi. Michael Rau ha espresso questa preoccupazione, parlando di “effetto omogeneizzante dell’IA nei campi creativi”: se utilizziamo l’IA per curare contenuti o suggerire format collaudati, si rischia di restringere la varietà dell’intrattenimento anziché ampliarla. Il teatro vive di originalità e diversità di voci; una dipendenza acritica dai suggerimenti dell’IA potrebbe quindi soffocare la sperimentazione autentica. Per evitare ciò, è fondamentale usare l’IA in modo critico e personalizzato: come punto di partenza, non di arrivo. L’IA deve ampliare l’immaginario dell’autore, non sostituirvisi con soluzioni “già viste” mascherate da novità.

La perdita del fattore umano

Infine, c’è il timore esistenziale che delegare troppe decisioni creative a una macchina faccia perdere agli artisti parte dell’esperienza stessa di creare. “Fare arte è una delle cose più esaltanti che si possano fare – avverte Rau – e se cediamo troppo di quel processo ai sistemi di machine learning, saranno gli artisti a rimetterci”. La creazione artistica non è solo il prodotto finale, ma anche il percorso, fatto di intuizioni, errori, illuminazioni improvvise. Se un domani un regista si limitasse a premere un pulsante per generare con un’IA la regia di uno spettacolo, cosa ne sarebbe della crescita artistica derivante dal provare e riprovare soluzioni sul palco? In questa luce, l’IA pone una sfida filosofica: vogliamo un’arte “senza artigianato umano”? La risposta di molti è no: l’intelligenza artificiale va usata con misura, per non perdere la gioia (e la fatica costruttiva) dell’atto creativo umano. Non a caso, il workshop romano Me Myself and AI ha proposto un uso “non invasivo” dell’IA, che lasci la creatività umana in primo piano nel testo teatrale. Questa sembra essere la via eticamente ed artisticamente più sostenibile: un’IA collaborativa, non sostitutiva, che arricchisce l’estro umano senza castrarlo.

AI e performance dal vivo: un equilibrio tra innovazione e tradizione

Vale la pena notare che l’introduzione di nuove tecnologie nel teatro non è affatto una novità sul lungo periodo. Ogni innovazione – dall’elettricità alla realtà virtuale – inizialmente spaventa o desta scetticismo, ma col tempo trova un suo posto se riesce a dimostrarsi utile alla poetica scenica. L’IA probabilmente seguirà un percorso simile: oggi appare a tratti dirompente, perfino minacciosa, ma in futuro potrebbe diventare semplicemente un altro strumento nel kit di ogni artista.

Come osserva Rau, “la tecnologia ha sempre cambiato il teatro”. Pensiamo al passaggio dalle candele alle lampade a gas e poi ai fari elettrici: ogni salto ha trasformato scenografie, costumi e modalità di messa in scena, e c’era chi temeva che avrebbe “distrutto il teatro”. In realtà, il teatro è sopravvissuto e ha prosperato integrando quelle scoperte. Oggi convivono spettacoli ultratecnologici e rappresentazioni tradizionali: si può andare al Globe Theatre di Londra a vedere Shakespeare con messa in scena filologica, oppure in un teatro sperimentale a vedere ologrammi, mapping 3D e – chissà presto – attori virtuali mossi dall’IA. L’arte scenica è abbastanza capiente da contenere sia il passato sia il futuro.

Un esempio emblematico dell’oggi è A&I, una performance di danza contemporanea della compagnia Orange Grove Dance presentata a Baltimora nel 2024 e definita “spellbinding yet unnerving” (ipnotica ma inquietante) dal critico Dereck Mangus. In questo spettacolo, un’IA chiamata “Luna” ha letteralmente diretto e controllato in tempo reale la coreografia dei cinque danzatori umani in scena. Il risultato è stato volutamente straniante: i performer sembravano ingranaggi di una macchina più grande di loro, pedine in una partita a scacchi giocata da un’entità artificiale. Lo spettatore si trovava di fronte a un cortocircuito: la bellezza dei corpi in movimento c’era, ma governata da un algoritmo senza corpo. Esperienze così estreme mettono alla prova le nostre definizioni di “arte” e “artista”: la macchina sta creando qualcosa di suo? E se sì, come dovremmo accreditarla (Mangus ironizzava: dovremmo forse chiedere quale pronome preferisce l’IA sul palco?). Al di là del fascino perturbante, però, anche A&I è frutto di menti umane – i coreografi Colette Krogol e Matt Reeves – che hanno usato l’IA come mezzo per esprimere un’idea precisa, in questo caso una riflessione sui confini tra biologico e tecnologico, tra distopia e utopia.

Ecco, questa distinzione è cruciale: l’IA in teatro non diventa arte da sola, ma può essere un potente mezzo nelle mani di artisti visionari. Può spingere il pubblico a porsi domande nuove (“le macchine possono creare davvero?”), può generare stupore sensoriale, ma a dare senso al tutto deve essere sempre l’intento umano. Come ha detto Rau, “ci troviamo all’incrocio in cui l’umano continua a fare l’arte e l’IA la arricchisce o aggiunge un aspetto interessante”. Finché questa rimane la filosofia – l’uomo al timone, la macchina come supporto – l’IA potrà portare benefici senza snaturare l’essenza viva del teatro.

Conclusioni: verso un teatro aumentato, ma umano-centrico

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella creatività teatrale è un campo in rapido sviluppo, pieno di entusiasmi ma anche di nodi irrisolti. Quello che oggi è d’avanguardia (un algoritmo che co-sceneggia una pièce, o un ologramma AI che interagisce con un attore) domani potrebbe diventare prassi comune – così come le luci elettriche, un tempo novità, sono ora parte integrante di qualsiasi palco. Tuttavia, il modo in cui incorporeremo l’IA farà la differenza tra un teatro che resta espressione profonda dell’umano e uno che magari ne tradisce la missione.

Dalle esperienze analizzate emergono alcuni punti fermi. Primo: l’IA è uno strumento estremamente potente per stimolare la creatività, ma va guidato e supervisionato. I migliori risultati si ottengono in modalità “human-in-the-loop”, dove l’artista mantiene controllo e responsabilità, sfruttando l’algoritmo per ampliare le proprie idee e non per rimpiazzarle. Secondo: l’IA può aumentare la portata dell’immaginazione scenica, ma non deve soffocare l’originalità: l’educazione all’uso critico di questi strumenti sarà fondamentale per le nuove generazioni di teatranti. Terzo: a livello contenutistico ed etico, serviranno linee guida chiare (e forse nuove normative) per gestire questioni di copyright, bias e attribuzione delle opere IA-derivate, in modo da tutelare sia gli artisti umani sia il pubblico da derive sgradevoli.

In ultima analisi, l’intelligenza artificiale offre al teatro la possibilità di diventare ancora più ricco e poliedrico – un teatro aumentato, dove la tecnologia apre orizzonti narrativi e scenici prima inimmaginabili. Ma allo stesso tempo, questa evoluzione pone la comunità artistica di fronte alla responsabilità di ridefinire cosa è “creatività” e cosa è “arte” in presenza di agenti non umani. Sarà un dialogo continuo: l’IA ci costringe a interrogare la nostra idea di arte, ricordandoci perché creiamo e cosa rende il prodotto dell’ingegno qualcosa di significativo e “vivo” per gli esseri umani.

Nel salutare questa “nuova frontiera”, dunque, conviene farlo con mente aperta ma sguardo critico. Come in ogni buona regia, serve equilibrio: la sperimentazione tecnica da un lato, la salvaguardia dell’anima dall’altro. Il sipario si alza su un futuro in cui attori e algoritmi potranno condividere la scena – resta a noi scrivere, giorno per giorno, il copione di questa collaborazione in divenire.

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